Ciò che è meglio per te

Forse ce lo stiamo dicendo, forse non ce lo vogliamo dire, forse è meglio non dirselo. Sta di fatto che il nostro Paese è collassato. Senza voler scoraggiare chi spera in una imminente ripresa, nella ricostruzione, nella forza delle parole per cambiare il mondo, dobbiamo però lasciare che la parte razionale del nostro cervello capisca e analizzi onestamente la situazione. Disperata.
Per renderlo con una immagine: siamo all’interno di un’automobile che sta inevitabilmente andando a schiantarsi, chi è seduto sul posto di guida non ha nessuna intenzione di mollarlo e tantomeno di prendere in mano il volante e sterzare. La vettura è già stata spogliata di ogni accessorio e si è passati a intaccare carrozzeria e motore. I finti conducenti, fiduciosi che al momento dello schianto saranno già passati a miglior vita dopo essersi goduti tutto il godibile e anche di più, sorridono salutando dal finestrino e rassicurano noi nuove generazioni stipate nel bagagliaio, ma anche gli anzianotti del sedile posteriore, con improbabili argomenti.
Bene, i più svegli del carrozzone non si lasciano affabulare e vedono chiaro e ineluttabile il muro che ci si para davanti. Cosa fare?
Cosa fare a trent’anni stipati nel portabagagli di una macchina che va verso lo schianto?
La risposta sembra quasi ovvia. Io dico invece: valutare.
Ma secondo quale criterio?

Quello che ci ronza nelle orecchie in questi anni di individualismo sfrenato è : “fa quello che è meglio per te”.
Non pensare a famiglia, amici, relazioni, ma sopratutto non pensare a questo ferro vecchio di Paese che non ti porterà da nessuna parte se non all’assoluta insoddisfazione professionale.

Il peccato mortale del nuovo millennio: la non realizazzione sul piano professionale.

Nulla! Nulla può essere sacrificato delle proprie aspirazioni. Eresia. Le aspirazioni vanno perseguite in tutto e per tutto perchè è ciò che è meglio per te. Chi può negare che questo è il pensiero dominante? che ti ci infarciscono pure il cornetto a colazione con questo “aspirazionismo”?
D’accordo, ne sono visibilmente infastidita.

Io vendo scarpe, in realtà amo fare altro. Naturalmente questo altro che amo fare non vorrei mai che diventasse il mio lavoro. Per me è un’affermazione piuttosto ovvia, ma in realtà se ci penso bene per gli “aspirazionisti” è abbastanza reazionaria,  d’altronde  io  svolgo il mio lavoro con rispetto, dedizione e soprattutto senza insofferenza, anche se non sono nata con il pallino delle scarpe! Con lo stesso spirito ho vestito la tuta blu, distribuito volantini e fatto orari disumani seduta dietro una scrivania. Come può accadere?

Molti ragazzi della mia età partono a cercare lavoro all’estero, io non posso biasimarli. Sicuramente molte partenze saranno state sofferte e alcune di sicuro inevitabili.
La mia scelta personale è stata rimanere.
Rimanere.
Il criterio di scelta non è stato “ciò che era maglio per me”, ma ciò che secondo il mio punto di vista era meglio in senso assoluto. Vogliate chiamarlo senso civico, senso di responsabilità, anche imbecillità volendo, ma dovremmo sapere nel profondo della nostra coscienza che chi ancora riesce a sopravvivere con le proprie oneste energie ha un obbligo morale a restare a bordo. Se non lo fa chi ha ancora la possibilità di scegliere chi mai rimarrà in questa terra, una volta passata la bufera, a riattacare i pezzi nel verso giusto?
Non mi importa se c’è una vita piena di riconoscimenti da qualche parte che mi aspetta, sono un uomo libero e non posso diventare schiavo dei miei talenti.
Posso decidere, e dicido di vendere onestamente scarpe, vivere una vita senza fronzoli, senza apprezzamenti, scoprendo un mondo del tutto appagante lì dove ormai più nessuno si prende la briga di passeggiare…